Quanto ci costa la sedentarietà? I ricercatori di uno studio australiano pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine sono andati indietro di qualche passaggio nell’ equazione “sedentarietà = costi per la salute” e hanno scomposto i termini dell’operazione, fino a risalire al contributo di una forma particolare di sedentarietà: lo stare seduti. Senza accontentarsi del conteggio a ritroso, si sono poi impegnati in un calcolo che ha monetizzato il tutto. La conclusione?
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Pari opportunità e sport: se ne può fare una questione di genere. Sono infatti numerosi gli studi che confermano come le donne in Italia pratichino meno attività fisica rispetto agli uomini. Una conferma arriva ora anche da una ricerca condotta per una tesi di laurea dell’Università de L’Aquila, che evidenzia limiti e opportunità di fare pratica fisica per le donne che vivono e lavorano in città.
Dati e statistiche parlano chiaro: la sedentarietà è (anche) un problema di genere. Seguire le raccomandazioni, cioè fare per 5 giorni a settimana almeno mezz’ora di esercizio al giorno (gli adulti) e almeno un’ora (bambini e adolescenti), per circa due terzi degli italiani sembra un traguardo irraggiungibile. Ma si tratta addirittura di un miraggio, se concentriamo l’analisi sul sesso femminile, che sembra scontare una posizione più penalizzata rispetto agli uomini.
Dopo la menopausa, la probabilità di sviluppare un cancro al seno si riduce del 14% se si cammina almeno un’ora al giorno e del 25% se l’esercizio fisico è più intenso. Dalle pagine di Cancer Epidemiology and Biomarkers Prevention il messaggio giunge forte e chiaro.
Durante le Olimpiadi della Grecia classica si narra che Callipatera, la madre di un velocista, per avere accesso allo stadio rigorosamente vietato alle donne e vedere il figlio gareggiare, si travestì da uomo. Fu scoperta e, per evitare ulteriori infiltrazioni femminili, si adottò per anni il provvedimento di far denudare all'ingresso dell'arena non solo gli atleti, ma anche gli spettatori.
Sembra di sentirla la protesta del cittadino, che finalmente convertitosi all’idea di fare un po’ di movimento, si chiede un po’ confuso: «Sì, il perché l’ho capito, ma quanto e come non mi è mica così chiaro». E non ha tutti i torti, perché gli inviti alla pratica dell’attività fisica non sempre sono adeguati dal punto di vista della “dose consigliata”.
Era il 1985 quando, per la prima volta, l’American College of Obstetrician and Gynecologists (Agco) raccomandò alle donne incinte di praticare una moderata attività fisica. All’epoca le prove erano ancora scarse ma oggi, a distanza di quasi trent’anni, è una certezza: muoversi e fare sport è il modo migliore per mantenere un buon equilibrio psicofisico e prevenire eventuali problemi durante gravidanza e menopausa.