L’esercizio come farmaco

Cosa si fa per favorire il movimento delle persone con un problema di salute o una malattia cronica?
21/10/2014
  • Maria Rosa Valetto
attività fisica come farmaco

Immagine: 

fonte: presentazione di Ferdinando Tripi (Bologna, “Mercuriale” 2013)

È vero che promuovere uno stile di vita attivo può essere più complicato in alcuni gruppi di popolazione, per esempio tra chi soffre di qualche malattia. Però non è affatto vero che sia impossibile, anzi. Spesso la risposta più istintiva, o più condizionata dall’emotività, è: «io non posso perché sto già male e…». Eppure un perché realmente valido non esiste. C’è piuttosto quasi sempre un come, che va individuato con buon senso e competenza.

Il modello prescrittivo
Tra le soluzioni possibili c’è il modello adottato dall’Emilia-Romagna, che è parte integrante del Piano regionale di prevenzione 2010-2012 e del quale azioni quotidiane ha parlato al termine del primo periodo di sperimentazione. Rivolto a persone con malattie croniche cardiache e metaboliche e costruito scommettendo sull’inedita (e non scontata) collaborazione tra medici coinvolti nell’assistenza sanitaria tradizionale (medicina generale o specialistica) e medici dello sport, traccia un percorso in diverse fasi: la prescrizione dell’attività fisica da parte del curante come se fosse un farmaco; una valutazione - da parte del medico dello sport - degli spazi di manovra e dei margini di miglioramento attesi in base alla condizione specifica; e infine il passaggio alla pratica, dapprima in una palestra collegata direttamente al servizio di medicina dello sport (se serve una supervisione sanitaria), poi in una struttura inclusa tra le cosiddette “palestre sicure”.

L’aspetto prescrittivo è un elemento caratterizzante del progetto e merita quindi qualche precisazione. I coordinatori propongono una declinazione su tre livelli, in cui la valutazione del paziente a basso rischio è affidata al medico di medicina generale, quella del paziente ad alto rischio a specialisti di riferimento e al medico sportivo e comunque, in consulenza, al medico di medicina generale:

  • la semplice indicazione all’attività fisica è prescritta dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta, cui compete una rivalutazione periodica di minima. L’attività fisica viene praticata liberamente, anche in strutture non sanitarie purché idonee e con personale esperto
  • l’indicazione personalizzata sulla base di una valutazione funzionale è prescritta dal medico di medicina generale in accordo con lo specialista di riferimento per la patologia (per esempio, in ambito cardiologico) ed è soggetta a valutazioni periodiche. L’attività fisica viene eseguita fuori dall’ambiente sanitario, ma sotto la tutela di personale esperto, opportunamente formato anche in collaborazione con il Sistema sanitario regionale, e in strutture idonee e selezionate
  • il piano di trattamento individuale basato sulle condizioni del paziente è prescritto in ambiente specialistico (centri di medicina dello sport). L’attività fisica viene praticata e controllata in ambiente sanitario.

Tutto ciò richiede ovviamente integrazione, formazione e spesso una profonda revisione operativa.

Prescrivere non vuol dire medicalizzare
È bene precisare che la prescrizione non va in parallelo con la medicalizzazione: il rischio di accostare i due aspetti esiste, ma c’è consapevolezza e quindi buona probabilità di evitarlo. Il modello distingue infatti tra esercizio fisico adattato (Efa) - prevalentemente rivolto a soggetti cardiopatici, diabetici e/o in sovrappeso, con un’attenzione agli aspetti clinici, soprattutto al rischio cardiovascolare, molto più elevata - e attività fisica adattata (Afa), ritagliata su persone con problemi neurologici, muscolari o muscolo scheletrici. Questo percorso intende soddisfare due esigenze apparentemente contrapposte. La prima, che trova una risposta nell’esercizio fisico adattato, è quella di “portare dentro” il Sistema sanitario regionale l’esercizio fisico, prescritto e somministrato come un farmaco a persone con malattie (soprattutto cardiovascolari e dismetaboliche) sensibili a questo trattamento. La seconda, che invece si identifica nell’attività fisica adattata, è di evitare un’inutile medicalizzazione di problemi non suscettibili di trattamenti sanitari appropriati (in particolare la disabilità da eventi patologici stabilizzata).

La grande scommessa è familiarizzare il mondo sanitario all’uso dell’attività fisica (adeguata per tipo, intensità, frequenza e durata) non solo come un potente trattamento, ma anche come un potente mezzo di prevenzione. Facendo sì, in questo modo, che la relazione con il mondo sportivo sia per tutti positiva e arricchente.

Il contrasto a obesità e diabete, passo dopo passo
Ma esistono anche approcci alternativi. Per esempio, quello di Curiamo (Centro universitario ricerca interdipartimentale sull’attività motoria) a Perugia, titolare di numerosi progetti di promozione dell’attività fisica che si fondano su un patto con il cittadino: «grazie al tuo impegno, noi ti curiamo». In due occasioni successive, nel 2010 e nel 2011, per un gruppo di circa 80 persone - per metà presunti sani, normopeso e camminatori allenati; per metà in sovrappeso, obesi e alcuni anche con ipertensione e diabete - l’impegno si è trasformato in un’autentica avventura di un paio di settimane. La storia è raccontata e documentata in un video e in una pubblicazione scientifica: una scarpinata coast to coast dall’Adriatico al Tirreno di quasi 400 chilometri, tanta la distanza che separa Ancona da Talamone.


La preparazione
Un’esperienza avventurosa ma disciplinata dal punto di vista del metodo, che ha previsto un’accurata preparazione di circa 10 mesi con valutazioni di base da parte di medici di medicina generale, medici dello sport, dietologi, psicologi e un’iniziazione all’attività fisica con sessioni in palestra e all’aria aperta. Durante la camminata sono stati poi programmati controlli rigorosi (per i diabetici anche misurazioni della glicemia durante l’esercizio) ed è stato impostato un regime dietetico salutare ma non restrittivo.

I promotori dell’iniziativa nutrivano qualche dubbio sull’opportunità di sottoporre persone molto obese - e, in alcuni casi, anche malate - a carichi di lavoro così intensi e prolungati. Per esempio, il timore che ci fosse sofferenza cardiaca era giustificato, visto che anche maratoneti e triatleti professionisti (e sani) a volte hanno impercettibili fenomeni di ischemia, individuabili tramite l’incremento nel sangue di una proteina rilasciata dalle cellule del miocardio, la troponina. Ma di troponina non si è trovata traccia nei prelievi effettuati ai partecipanti alla lunga camminata.

I risultati
È arrivato in fondo circa la metà del gruppo, ma anche chi ha lasciato è riuscito comunque a partecipare per almeno una settimana. Gli abbandoni - spesso concordati a priori in base alla disponibilità di tempo - si sono equamente distribuiti sia tra le persone più in forma, sia tra chi aveva problemi di peso e metabolismo. Tutti hanno visto calare il proprio indice di massa corporea, con riduzioni più significative nel gruppo di chi soffriva di una patologia. Si è osservato anche un calo della circonferenza addominale e della massa grassa, un minore fabbisogno di insulina nei due partecipanti diabetici e un più blando ricorso alla terapia antipertensiva in 14 dei 19 soggetti in trattamento contro la pressione alta.

Altrettanto soddisfacenti i dati qualitativi relativi al miglioramento del proprio profilo psicologico. Verificare che l’esercizio fisico è senza rischi e alla portata di tutti, infatti, ha consentito un forte recupero di autostima e buon umore. Un recupero facilitato da alcuni elementi non secondari, come il fatto che l’esperienza sia stata adeguatamente preparata e controllata, si sia svolta in gruppo e in un contesto naturale gradevole.

 

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