Londra: nella “city” il bike sharing allunga la vita

Una complessa simulazione applicata alla realtà londinese indica che il bike sharing ha effetti a medio termine positivi sulla salute. E ci sono ancora margini di miglioramento.
06/03/2014
  • redazione
bike sharing a Londra

Immagine: 

(foto credit: www.ft.com)

La mappa mondiale ne testimonia la crescita tumultuosa: di bike sharing, oggi si contano 636 iniziative in 49 Paesi di tutto il mondo (nel 2000 erano appena 5). Anche Londra, come e forse più di altre metropoli, assiste alla sua rapida diffusione e le cifre sono impressionanti: 8 mila biciclette condivise aspettano in 571 stazioni i cittadini della capitale britannica, 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno. Ma questo successo di critica e pubblico si traduce in un vantaggio reale per la salute? Nell’insieme sì, stando ai risultati dello studio pubblicato sul British Medical Journal. Il primo del genere a occuparsi dell’impatto sulla salute in termini di morbidità e mortalità, dal momento che il precedente realizzato a Barcellona si era occupato solo di eventi fatali (individuando una significativa ma modesta riduzione).

Numeri importanti
Per misurare gli effetti del bike sharing è stato utilizzato il Daly (Disability Adjusted Life Years), uno di quegli indicatori messi a punto dagli epidemiologi che cerca di esprimere con un solo numero una misura complessa e composta, cioè il peso della malattia in funzione degli anni di vita persi a causa di cattive condizioni di salute, disabilità o morte. Se i Daly scendono, significa che la salute stimata migliora. I ricercatori hanno applicato un modello matematico al centro della capitale britannica, alimentandolo con una grande quantità di informazioni: quasi un anno e mezzo di dati sull’utenza del servizio di bike sharing, due sondaggi tra gli utilizzatori, otto anni di informazioni su traffico, incidenti, qualità dell’aria e persino sui livelli individuali di attività fisica. La fotografia ottenuta si riferisce a più di mezzo milione di utenti, per lo più sotto i 45 anni. In un anno (aprile 2011-marzo 2012) sono stati percorsi 7,4 milioni di tragitti, per una durata media di 20 minuti che – in assenza del bike sharing – sarebbero stati effettuati a piedi nel 31% o con mezzi pubblici nel 47% dei casi.

Più movimento, meno stress
I dati mostrano come il ricorso al bike sharing riduca i tempi di trasferimento di circa un quinto. Cosa che può avere un risvolto sulla salute se si considera quanto stress si accompagna a una lunga coda nel traffico, o alla probabilità di incappare in un incidente stradale. Il guadagno attribuibile all’incremento dell’attività fisica è modesto a livello individuale, ma rilevante a livello di popolazione. Maggiore per gli uomini, in ragione del diverso profilo di rischio di partenza e più evidente come riduzione delle malattie cardiovascolari (-41 Daly); nelle donne, invece, si traduce soprattutto in un calo della depressione (-7 Daly). Ma Londra è già una città dove i livelli di attività fisica praticati sono incoraggianti e superano la media nazionale, per cui era difficile aspettarsi un ulteriore margine di miglioramento.

Qualità dell’aria e incidenti
Il passaggio al bike sharing non sembra modificare sostanzialmente l’impatto dell’inquinamento sulla salute. Mentre infatti pedoni e biker sono esposti a un’aria presumibilmente di qualità migliore rispetto a quella della metropolitana, l’iperventilazione determinata dal passo spedito o dalla pedalata facilita l’ingresso delle polveri sottili nelle vie respiratorie, annullando così il beneficio.

La parte del modello più difficile da interpretare è quella relativa agli incidenti stradali. Pare che l’introduzione del bike sharing non abbia intaccato i livelli di sicurezza delle strade londinesi: il che è già una buona notizia, per chi prevedeva una strage di ciclisti. Il beneficio risulta più marcato per gli uomini (-72 Daly) che per le donne (-15 Daly) solo ipotizzando che nel centro di Londra gli incidenti continuino a calare come negli ultimi anni. In uno scenario di incidentalità stabile, invece, i benefici sarebbero minori tra gli uomini (-49 Daly) e praticamente nulli per le donne (-1 Daly). La differenza di genere dipende dalla combinazione sfavorevole di un’utenza femminile che ricorre meno al servizio, ma è più vulnerabile in caso di collisione con gli autoveicoli.

Da ultimo, infine, il modello è stato applicato a diversi scenari ipotetici, in pratica per rispondere a una serie di domande come: «cosa succederebbe se…?». Questi gli spunti più interessanti: il bike sharing produrrebbe benefici ancora maggiori se migliorasse la sicurezza sulle strade; se il modello si applicasse a contesti con livelli di attività fisica inferiori a quello londinese o in città ancora più inquinate; se rappresentasse l’alternativa di prima scelta all’uso dell’auto. Il bike sharing è quindi promosso, anche se potrebbe fare di più.

 

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