Curare la città per costruire la salute
- Maria Rosa Valetto
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Sanità e urbanistica, da sempre compagne di strada. O almeno sin dal 1569, anno in cui Girolamo Mercuriale - pioniere della ricerca sull’attività fisica e della sua promozione - nel terzo libro del De arte gymnastica riconosce l’eccellenza del camminare tra le forme di esercizio praticabili all’aperto: «se v’ha esercizio presso tutte le nazioni usatissimo a guardar la sanità, a cacciar la fievolezza contratta per malattia, e ridestare il vigore del corpo, certamente si puote asserire unico il passeggio. A questo i medici diedero il primo posto nella loro ginnastica: questo dagli antichi fu riportato di tale importanza che tutti i luoghi destinati agli esercizi privati e pubblici, dentro i fuori dei ginnasj, di nullo si presero maggiore sollecitudine di quella, che ebbero in edificando luoghi comodi al passeggiare in qualunque stagione». E consolida l’alleanza tra medicina e urbanistica citando Vitruvio, «il quale nei suoi scritti dà a vedere che infinitamente ei tenesse in conto, che ci fosse gran sollecitudine per fabbricare i passeggi… Io per verità so, che prima di Vitruvio e dopo sono stati costruiti con magnificenza innumerevoli luoghi da passeggio, i quali dividerò in tre classi: cioè nei portici, nei viali allo scoperto, nei viali sotterranei».
Ambienti costruiti: parola d’ordine, diversificare le funzioni
Oggi, a distanza di 4 secoli e mezzo, un approccio protettivo e preventivo della salute, intersettoriale, efficace e attento al contrasto delle diseguaglianze resta quanto mai attuale, come sottolinea la visione del nuovo Piano nazionale della prevenzione 2014-2018. Eppure le felici intuizioni di Mercuriale e di altri dopo lui sono state studiate sistematicamente e valutate solo molto di recente, da circa 10-15 anni. La ricerca si è mossa su due binari paralleli, non sempre convergenti. Da una parte l’urbanistica e la pianificazione territoriale, con l’analisi dei comportamenti dei cittadini negli spostamenti quotidiani, con particolare riguardo all’utilizzo dei mezzi (automobile, bus e metro, a piedi, in bici ecc); dall’altra la sanità pubblica, concentrata invece più sui determinanti individuali e sociali degli stili di vita sani e su intensità e quantità di esercizio fisico. Scarica la tabella con le variabili relative sia alla pianificazione territoriale che alla sanità pubblica.
Eppure l’ambiente costruito sembra incidere eccome, sulle nostre scelte di salute e sui livelli di attività motoria praticata. Tra gli aspetti più rilevanti c’è la densità abitativa, una variabile surrogata di parecchie caratteristiche del contesto urbano: più la città è densa, più i cittadini tenderanno a essere attivi. Così come la destinazione d’uso: i luoghi monofunzione come i centri direzionali o i “quartieri dormitorio” sono vissuti solo in alcune ore del giorno, stimolando ben poco la voglia di muoversi delle persone. Invece i sistemi misti come i nostri vecchi centri storici, caratterizzati da una mescolanza di persone, funzioni e orari differenti, garantiscono un buon equilibrio tra opportunità di svago, incontro e socializzazione e favoriscono l’esercizio fisico. È un esempio eloquente il caso dei cosiddetti “negozi di vicinato”, la cui eliminazione va di pari passo con la limitazione dell’attività motoria. Stessa cosa si può dire rispetto al fenomeno di spopolamento progressivo dei centri storici. Certo è che realizzare o conservare quartieri multifunzione è molto più impegnativo, anche all’interno di centri urbani già esistenti.
Relazioni difficili da dimostrare
Ma andiamo con ordine e rileggiamo alcuni passaggi chiave della letteratura in materia. L’Harvard Alumni Health Study (2009) si dichiara la prima indagine su larga scala che abbia esaminato le relazioni tra cambiamenti dell’ambiente costruito e vita attiva. Il focus è sulla relazione tra i livelli di attività fisica praticata e la dispersione urbana (lo sprawling, ossia la crescita disordinata e non pianificata delle città, in genere associata a una bassa densità abitativa e a una destinazione monofunzionale dei luoghi). I dati dicono che meno la città è dispersa, più i residenti sono inclini a camminare e tenere sotto controllo il peso corporeo. Manca però una relazione tra i due parametri: cioè, quando le persone passano a una situazione di minor dispersione, non si osserva un corrispettivo aumento dei livelli di attività fisica o una riduzione del peso corporeo. I risultati non permettono quindi di individuare alcun nesso di causalità tra caratteristiche del contesto urbano e livelli di attività fisica, ma suggeriscono che spesso gli individui scelgano i luoghi di residenza sulla base della loro propensione alla vita attiva o alla sedentarietà. Questo orientamento a priori può rappresentare un fattore confondente quando si cerca di studiare l’associazione tra tipologia dell’ambiente costruito e comportamenti dei suoi abitanti.
E che dire dei bambini, che hanno bisogno di “dosi” più elevate di attività fisica (almeno un’ora, tutti i giorni) e trovano nel gioco l’occasione più naturale per praticarla? Un documento di indirizzo dell’American Academy of Pediatrics (2009) individua alcuni punti chiave su cui intervenire per contrastare l’epidemia di sovrappeso/obesità e sedentarietà infantile: il verde e gli spazi all’aria aperta, i trasporti per andare a scuola, la posizione dgli edifici scolastici (piccole scuole delocalizzate, quasi “scuole di prossimità”, sono più utili rispetto ai grandi istituti a cui fanno riferimento territori molto estesi), la limitazione del traffico automobilistico per promuovere il camminare e l’uso della bicicletta, la sicurezza (sia in termini di rischi associati al traffico e agli incidenti stradali, sia alla criminalità). Ci sono poi tutte le attività di sensibilizzazione e formazione rivolte ai bambini, alle famiglie e agli insegnanti che puntano alla creazione di comunità attive. I dati stabiliscono quindi una relazione tra l’applicazione delle soluzioni suggerite e l’incremento dei livelli di attività fisica, ma non arrivano al passaggio successivo: cioè, la dimostrazione dei benefici per la salute.
La questione è affrontata in una revisione firmata da esperti di sanità pubblica dell’Università di Calgary (2011), alla ricerca del nesso di causalità a sostegno dell’evidenza empirica (e del buon senso) che esista un’associazione tra le caratteristiche dell’ambiente costruito, i livelli di attività fisica praticati e la salute. I ricercatori sottolineano l’esistenza di alcune relazioni positive, ma appunto solo relazioni, tra i livelli di esercizio e la progettazione di tipo misto della città, la connettività e la densità abitativa. Le caratteristiche dell’ambiente costruito influiscono soprattutto con la possibilità di muoversi a piedi.
A piedi o in bici, purché sia facile
Si sono invece concentrate sulla percezione dell’ambiente costruito le ricerche di un gruppo di studio della facoltà di Scienze motorie dell’Università di Gent (Belgio). Una delle loro più recenti pubblicazioni (2012) considera l’impatto sugli spostamenti a piedi o in bicicletta di oltre 6 mila adulti di 25-60 anni, reclutati in contesti diversi dal punto di vista socioeconomico, oltre che della walkability (pedonabilità) e cyclability (ciclabilità) della città di provenienza. Entrambe queste caratteristiche sono determinate tramite un indice che sintetizza in un'unica misura una serie di elementi che si ritiene favoriscano la scelta di andare a piedi o l’uso della bicicletta. Ebbene, l’indice di ciclabilità - che racchiude la prossimità a negozi e servizi, l’estetica e la funzionalità dei percorsi, la disponibilità di parcheggi - rispecchia effettivamente l’intensità di impiego della bicicletta, senza differenze di genere o di luogo. Quello di pedonabilità invece - che tiene conto della densità residenziale, delle funzioni miste del territorio, della prossimità ai negozi, ai servizi e dell’estetica dei luoghi - non è altrettanto rappresentativo dell’abitudine di andare a piedi. Essa è in relazione con la facilità di trasferimenti a piedi soprattutto nella popolazione femminile e cambia da città a città.
Il ruolo degli operatori
Insomma: le prove di una correlazione sono numerose, manca però di determinare se e quali caratteristiche della città siano cause dirette dell’aumento o del calo dei livelli di attività fisica praticata. Il documento di riferimento internazionale a questo proposito è Does the built environment influence physical activity? Examining the evidence, pubblicato nel 2005 dalle National Academies statunitensi e tradotto in italiano dagli esperti della Regione Emilia-Romagna (si vedano in particolare le pp. 43-59). Del resto la Regione Emilia-Romagna, sempre nel 2005, su questi temi aveva già pubblicato nell’ambito del proprio Piano regionale di prevenzione il documento La prevenzione della patologia indotta dall’ambiente costruito.
Mentre le attività di ricerca proseguono, c’è crescente consenso su un punto: intervenire sulla forma, sulla struttura e sull’organizzazione della città è un’opportunità preziosa per migliorare la salute della popolazione e favorire la diffusione di uno stile di vita attivo. La salute (e i suoi operatori) possono così diventare una delle leve per indirizzare le scelte e le strategie urbanistiche e dei trasporti. L’azione potrebbe svilupparsi su due direttrici: con il coinvolgimento trasversale e multidisciplinare delle comunità e degli esperti; con la promozione dell’attività fisica presso tutta la popolazione, compresi i sottogruppi con esigenze e problemi specifici. Come infatti ricorda il progetto europeo Dedipac (Determinants of Diet and Physical Activity), è fondamentale che l’intervento tenga conto dei diversi livelli (individuale, interpersonale, ambientale) e dei diversi obiettivi (la corretta alimentazione, la promozione dell’esercizio fisico, la lotta alla sedentarietà). E che vengano misurati oggettivamente e valutati i risultati ottenuti: un aspetto sul quale c’è ancora molto da lavorare, data anche la complessità dell’intervento stesso.
Leggi anche in questo dossier:
- La strada è di tutti
- Città che cambiano: realtà a confronto
- Non è un paese per vecchi, ma forse lo diventerà
Un commento
stimoli a fare meglio
Inviato da olivieri (non verificato) il
So che tutti gli uomini razionali credono di dovere essere liberi di scegliere perché questa è la prima libertà. In pratica spesso l'uomo è governato, suo malgrato, dalle emozioni e dal conformismo e.... allora può essere utile un paternalismo liberale che lo spinga a prendere decisioni che tornino utile a lui ed alla comunità in cui vive. È un paradosso come tutta la vita
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