Scuola e sport: un matrimonio impossibile?

Quest’anno la scuola è iniziata con una buona notizia: l’approvazione del Governo di un decreto che rilancia la centralità della formazione e dei giovani nel nostro Paese. Più ombre che luci, però, caratterizzano un settore considerato ancora minore: lo sport e l’attività motoria. Manca la volontà politica di cambiare, per non parlare dello stato di impianti e attrezzature scolastiche, spesso in condizioni inservibili. Eppure investire nello sport a scuola porterebbe una serie di vantaggi, primi tra tutti per la salute e l'economia.
18/09/2013
  • Stefano Menna
sport a scuola

Le scuole riaprono e, per riprendere il titolo dell’ultimo provvedimento varato dal Governo, anche l’“istruzione riparte”. Chi invece sembra essere rimasta al palo ancora una volta è la promozione della salute e, in particolare, dell’attività fisica e dello sport a scuola. È di appena qualche giorno fa l’approvazione da parte del Governo del nuovo decreto legge denominato appunto “L’istruzione riparte”, il primo che torna a investire su giovani e formazione. Sono previsti interventi nell’ambito del personale scolastico, dei libri di testo, dell’innovazione, della lotta alla dispersione e della formazione dei docenti: sicuramente una buona notizia, dopo anni di tagli e ristrettezze.

Se manca la salute
Ma sul fronte del benessere, dello sport e della salute? Scorrendo il testo del decreto, l’unica misura è quella che amplia il divieto di fumo per le aree all'aperto di pertinenza degli istituti (come i cortili), e le sanzioni per chi fa uso di sigarette elettroniche. Il ministro della salute Beatrice Lorenzin promette che «si tratta solo della prima di una serie di misure allo studio per fare della scuola un luogo di prevenzione», ma per il momento non c’è altro. Poco o nulla che riguardi l’adeguamento delle infrastrutture e delle attrezzature scolastiche dedicate allo sport, il sostegno della cosiddetta “educazione fisica” o la promozione di nuove partnership o collaborazioni, per esempio con il mondo dell’associazionismo e dei circoli sul territorio. Nulla, soprattutto, che faccia pensare a un disegno strategico per un investimento serio in una pratica che favorirebbe la diffusione di una cultura del rispetto delle regole, l’integrazione sociale e aiuterebbe a stare meglio e più a lungo in salute.

Le (buone) intenzioni istituzionali
Eppure ce ne sarebbe un gran bisogno, se è vero che i primi a riconoscerlo sono i massimi rappresentanti istituzionali. Il Presidente del Consiglio Enrico Letta – fin dal suo discorso per la fiducia alla Camera del 29 aprile– fa riferimento a sport e stili di vita sani come strumenti efficaci per la lotta a sedentarietà, obesità e malattie croniche: tutte condizioni troppo diffuse nel nostro Paese, in particolare tra i più piccoli. Non solo: Letta dichiara anche di voler «valorizzare il patrimonio sportivo italiano e diffondere la pratica sportiva fin dalle elementari, con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale».

Nelle linee programmatiche esposte il 4 giugno (appena tre settimane prima di rassegnare le dimissioni), l’ex ministro dello sport Josefa Idem punta forte sulle scuole primarie e sul rinnovamento dell’edilizia scolastica come motori per “fare salute”. In cantiere l’implementazione del Piano nazionale per la promozione della pratica sportiva 2012-2013 a cominciare dalle scuole elementari e, soprattutto, lo sblocco dei 23 milioni di euro già previsti dal “Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva” per realizzare nuovi impianti e ristrutturare quelli esistenti. Si tratta del primo investimento pubblico nel settore dai tempi dei mondiali di calcio “Italia ’90” (al 16 settembre sono oltre 10 mila le istanze pervenute, secondo i dati pubblicati sul sito del ministero dello Sport). Posizioni e intenzioni confermate anche dall’attuale ministro per gli affari regionali e le autonomie, con delega allo sport, Graziano Del Rio. L’ex sindaco di Reggio Emilia pensa a un grande piano per la promozione dell’educazione motoria nelle scuole primarie, l’individuazione e l’estensione di best practice, oltre a una maggiore cooperazione tra i settori pubblico e privato.

Infine, il Coni e il ministero dell’Istruzione lo scorso aprile hanno rinnovato l’accordo per realizzare interventi di promozione dello sport a scuola, sia attraverso la messa a regime di esperienze pilota avviate sul territorio sia attraverso una sorta di inventario del patrimonio impiantistico. Un gruppo di circa 3 mila scuole elementari della penisola avrà a disposizione un laureato in Scienze motorie per 30 ore di lezione all’anno per classe. Non molto per la verità, se pensiamo che un investimento complessivo di 3 milioni di euro, erogato così a pioggia, rischia di disperdersi in tanti piccoli rivoli. Il monitoraggio dello stato degli impianti sportivi scolastici dovrebbe invece essere portato a termine entro l’autunno, con l’obiettivo di programmare gli interventi di miglioramento. Interventi piuttosto urgenti, se guardiamo ai dati raccolti dal XI rapporto di Cittadinanzattiva su sicurezza, qualità e accessibilità a scuola presentato il 18 a settembre a Roma.

Fuori dai nostri confini
Ma intanto all’estero che succede? Per confrontarci con realtà ben più efficienti della nostra non c’è bisogno di andare negli Stati Uniti, dove la gestione dello sport nelle scuole, o l’organizzazione di campagne come “Let’s move” di Michelle Obama contro sedentarietà e obesità tra i giovani, rappresentano modelli troppo complessi, costosi e legati a una lunga e consolidata tradizione. Basta semplicemente andare oltralpe, per esempio in Francia o in Slovenia. E ci accorgiamo di come il giusto mix di idee, volontà politica e pianificazione siano gli ingredienti adatti per fare dello sport a scuola una materia di serie A.

Il programma di educazione sportiva (“Education Physique et Sportive”) nelle scuole elementari pubbliche francesi prevede tre ore a settimana, più altre facoltative, oltre a una conoscenza “pratica” obbligatoria dello sport: di squadra e individuali, da discipline di base come nuoto e atletica fino a sport più legati a territorio, cultura e ambiente locali come ciclismo, vela o sci. E si fa tutto nell’orario scolastico, perché ogni istituto deve essere dotato di un'associazione sportiva che consenta agli studenti accesso e pratica delle attività. Per la scuola francese lo sport è un diritto dello studente e un dovere per i docenti. Un diritto che invece è praticamente negato nel nostro Paese, dove disinteresse, burocratizzazione, incuria, scarsità e cattiva gestione delle risorse ogni anno allontanano dalla pratica sportiva un numero sempre maggiore di docenti e studenti.

Ma anche laddove le risorse sono più limitate, a volte basterebbe semplicemente copiare le buone idee. Come il progetto sloveno “Minuta za zdravje” (“un minuto per la salute”) che, sulla base di un’esplicita indicazione dei programmi ministeriali di Lubiana, raccomanda agli insegnanti di interrompere ogni tanto con brevi break le lezioni: i bambini possono spostare i banchi, rilassarsi e fare un po’ di sana attività motoria direttamente in classe, con qualsiasi condizione meteorologica, familiarizzando fin da piccoli con l’idea di esercizio fisico come qualcosa di facile e quotidiano.

Idee per ripartire
Anche da noi, comunque, qualcosa si sta muovendo. Soprattutto sul territorio, grazie a iniziative regionali e locali. Per esempio, il testo della nuova legge presentata dal Piemonte per rendere obbligatorie 2 ore a settimana di sport alle elementari sotto la guida di insegnanti specializzati, o il bando “PiùSport@Scuola” del Veneto per finanziare progetti dedicati allo sport a scuola, costituiscono certamente esperienze interessanti da seguire.

E a livello centrale? Le istituzioni stanno timidamente provando a (ri)metter mano a una riforma dello sport a scuola, attesa ormai da decenni. Due proposte di legge, firmate dai deputati Manuela Ghizzoni del Pd ed Elena Centemero del PdL e presentate la scorsa primavera, sono ora giunte all’esame della commissione “Cultura, scienza e istruzione” della Camera. Alla base c’è l’idea comune di istituire un’Unione nazionale dei gruppi sportivi scolastici, sul modello francese: una sorta di associazione sportiva studentesca con l’obiettivo di organizzare e sviluppare la pratica sportiva a scuola. Ciascun istituto potrebbe poi specializzarsi in una o più discipline e il territorio offrire così una gamma di scelte e opportunità diversificate ai ragazzi.

La scuola può tornare a essere davvero un “motore” di salute: per far girare questo motore, però, c’è bisogno di cambiare cultura e pompare nuovo carburante. E, come insegnano anche le esperienze di altri Paesi, prima ancora di fondi e risorse (che in tempi di crisi e spending review rischiano di restare solo sulla carta) ci vogliono idee, visione, strategia e capacità di programmazione.
 

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