Il vero spread tra Italia ed Europa? Su mobilità e trasporti pubblici
- redazione
Congestione, inquinamento, incidenti. Ammonta a 5 miliardi di euro il prezzo che ogni anno, nelle sei città italiane più popolate, siamo costretti a pagare: una “tassa” di circa 850 euro a famiglia solo per i costi degli incidenti stradali. I dati sono contenuti in “Muoversi meglio in città per muovere l’Italia”, studio della Fondazione Filippo Caracciolo (il centro studi dell’Aci) presentato ieri a Roma. Si tratta di una fotografia dello stato della mobilità nei principali centri urbani del nostro Paese, che mette a confronto numeri e statistiche a livello internazionale e individua possibili soluzioni per colmare il gap che ci divide dal resto d’Europa.
Europa, Italia, Roma: l’anticlimax della mobilità
Il modello italiano dei trasporti appare squilibrato, nettamente sbilanciato sull’utilizzo dell’auto privata: una scelta quotidiana di quasi 6 italiani su 10 (59%), contro una media europea del 35%. Questo squilibrio è causa e conseguenza dell’elevato numero di auto per abitante: più di 60 veicoli ogni 100 abitanti a Roma o Torino, a fronte di una media europea che non arriva a 40 (Londra 36, Berlino 35, Madrid 32).
Solo nella capitale, i costi del traffico superano i 2 miliardi di euro ogni anno: più di mille euro per automobilista. Per non parlare del tanto tempo “sprecato”: i forzati delle quattro ruote buttano via circa 3 giorni all’anno, chiusi in macchina tra il Lungotevere e il Grande raccordo anulare. Sul problema pesa senza dubbio la scarsa efficienza del trasporto pubblico locale, carente in tutto il Paese e ancor più in difficoltà a Roma. Con appena 41 km di binari, 52 stazioni e 309 milioni di passeggeri, la città eterna naviga nelle acque più basse della speciale graduatoria europea per l'estensione della rete di metropolitane. Un po’ meglio fa Milano, 14° città d’Europa con 92 km, 101 stazioni e 425 milioni di passeggeri. Impietoso comunque il confronto con le grandi capitali europee: 1 miliardo e 171 milioni di passeggeri per i 436 km del “tube” di Londra, 293 km di ferrovie e oltre 600 milioni di utenti a Madrid, più di 1 miliardo e mezzo di passeggeri a Parigi, il cui “metrò” si snoda su una rete di 220 km e 303 stazioni.
Gli investimenti nei trasporti pubblici urbani, del resto, sono crollati del 26% nel triennio 2008-2011. Una contrazione che ha avuto pesanti conseguenze sulla vita dei cittadini, come testimoniano anche gli indicatori dell’età del parco mezzi, della velocità media (a Roma è di 15 km/h, contro i 19 di Berlino e i 21 di Madrid) e dei costi di esercizio (oltre i 5 euro a km, molto superiori alla media continentale). Insufficiente anche il rapporto tra ricavi e costi: gli introiti della vendita dei biglietti riescono a coprire poco più del 30% dei costi, contro una media europea di oltre il 50% e punte di eccellenza (nel Regno Unito) superiori all’80%.
Dal car sharing al “living street”
Cosa fare, quindi? La ricetta presentata dal rapporto è articolata e complessa. E non a costo zero. «Servono 50 miliardi di euro in 10 anni, nuove regole, controlli efficaci e incentivi per le amministrazioni virtuose. L’80% dei fondi dovrà essere destinato a colmare lo spread infrastrutturale e di offerta del nostro trasporto urbano pubblico, il restante 20% coprirà gli investimenti per la messa in sicurezza dei punti critici, la promozione di servizi di car e bike sharing, il rinnovo del parco veicolare con l’introduzione di mezzi elettrici, la realizzazione di piste ciclabili e l’uso di tecnologie per la smart mobility», sottolinea Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’Automobile Club d’Italia. La mobilità urbana del terzo millennio, in effetti, non può prescindere dall’utilizzo diffuso di strumenti di infomobilità. Strumenti che, a fronte di investimenti piuttosto contenuti, possono portare notevoli guadagni: lo studio stima un -10% di consumi ed emissioni, -20% dei tempi di viaggio e un sostanziale dimezzamento delle code. Le nuove tecnologie possono essere utilizzate anche nella lotta al contrasto delle violazioni stradali e nella promozione del trasporto pubblico.
Da non dimenticare, infine, i benefici per la qualità della vita: un nuovo modello di trasporto può contribuire al miglioramento dei quartieri, attraverso misure che sottraggono asfalto alla circolazione di auto e moto per restituirle ai pedoni . Sono aree che nel tempo possono popolarsi di negozi per lo shopping, favorire lo sport, l’esercizio fisico e il divertimento, diventando luoghi di aggregazione e socializzazione.
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