Mondiali di calcio in Brasile, festa di sport. E dell’alcol
- Maria Rosa Valetto
Sembra proprio che ai Mondiali, alle buone intenzioni della Fifa, si contrapponga il lato oscuro della forza di alcuni suoi sponsor (tra cui una nota marca di birra) e l’arrendevolezza dei decisori rispetto alle politiche di contrasto all’alcol. Risultato: la Coppa del mondo in Brasile sarà il festival dell’alcol, tanto quanto del calcio. La preoccupante profezia, rilanciata sulla rivista scientifica British Medical Journal (Bmj), deriva da un’analisi dei massicci interventi messi in atto dai produttori di bevande alcoliche per forzare il divieto di consumo di vino, birra e simili negli stadi durante il Mondiale. Una debolezza palesata dalle stesse autorità brasiliane che - pare dopo un incontro con gli sponsor Fifa - hanno rimandato a un momento successivo al torneo l’aumento previsto della tassazione sulle bevande alcoliche.
C’è inoltre un parallelo con quanto avvenuto in Gran Bretagna dove il governo, dopo un primo netto rifiuto di prolungare l’orario di apertura dei pub durante la competizione, nel giro di tre mesi ha fatto una clamorosa marcia indietro. Un “ripensamento”, stando a quanto twittato dal Primo Ministro David Cameron. Il giornalista Jonathan Gornall ricorda che ben 18 squadre su 20 della Premier League inglese hanno tra i loro sponsor ufficiali aziende che producono e distribuiscono bevande alcoliche.
Tra ubriachezza e violenza
Che la salute pubblica possa uscire sconfitta da una competizione sportiva di grande richiamo come i Mondiali di calcio viene ribadito anche dall’editoriale di Clifford Mann, presidente del College of Emergency Medicine. Ci sono infatti alcuni dati eloquenti: nei giorni in cui la nazionale inglese giocava una partita nel Mondiale del 2010 in Sudafrica, è stato segnalato un aumento del 37,5% degli accessi al Pronto soccorso per motivi legati all’uso di alcol. E un’indagine simile che riguarda il mondiale di rugby del 2006 descrive lo stesso fenomeno, stavolta quando a scendere in campo era il Galles.
La resa alle ragioni di “Big Alcohol” potrebbe provocare problemi a cascata, primo fra tutti il ritorno della violenza negli stadi. Tanto più se l’abolizione del provvedimento si consolidasse o diventasse permanente nel tempo. Non si può infatti dimenticare che, proprio nel tentativo di debellare le scorribande degli hooligans, nel 1985 il governo di Margaret Thatcher - dopo la tragedia dell’Heysel (39 morti e oltre 600 feriti alla finale di Coppa dei Campioni, Juventus-Liverpool) - introdusse il divieto di consumare alcolici sugli spalti con il cosiddetto “Sporting Events Act”.
La vetrina dello sport e i mercati emergenti
C’è infine un altro risvolto, penalizzante soprattutto se la Coppa del mondo si gioca in Paesi economicamente svantaggiati. Forse non è così noto che, nel corso della manifestazione sportiva, la nazione ospitante è tenuta a defiscalizzare tutti i profitti dei partner Fifa. La campagna di contrasto alla povertà InspirAction ha dichiarato senza mezzi termini “oscena” questa misura, che sottrae all’erario di Brasilia ben 312 milioni di dollari. Se però non cambieranno le regole, questa è una situazione destinata a replicarsi anche quando il Mondiale si giocherà in Russia (2018) e in Qatar (2022). Al momento, non è dato sapere se Putin avrà la stessa forza nel replicare la politica alcol free applicata alle recenti Olimpiadi di Sochi. Pare invece quasi certo che l’emiro del Qatar sia disposto a derogare al rigoroso divieto sull’alcol prescritto dalla fede musulmana per vendere birra e vino nelle fan zone. È evidente come la conquista dei mercati emergenti sia una delle strategie prioritarie per l’industria dell’alcol. Ma è proprio qui che esplode la tensione fra interessi economici e obiettivi di salute globale.
E dire che dell’alcol si può fare a meno: nel 1991, per esempio, la Francia ha bandito le bevande alcoliche dagli eventi sportivi e da allora tutto è andato avanti regolarmente. Ma forse, come amaramente conclude il report del Bmj, è l’alcol a non avere alcuna intenzione di fare a meno dello sport, del suo grande palcoscenico e del suo ricco indotto economico.
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