E se invece l’abolizione del “decreto Balduzzi” fosse un errore?

Il certificato obbligatorio era un tentativo di fare ordine nel ginepraio normativo: la sua revoca ha generato più problemi di quanti ne volesse risolvere. Il punto di vista critico di un medico dello sport.
11/11/2013
  • Francesco Di Matteo
attività agonistica

Sono ormai diversi anni che la medicina dello sport pubblica sta cambiando volto e organizzazione. In particolare, ha aggiunto ai propri obiettivi la prevenzione delle malattie croniche e la promozione dell’esercizio fisico praticato in modo sistematico, controllato e regolare. Questo però non significa delegare al ruolo che da oltre mezzo secolo gli è stato assegnato: e cioè valutatore l’idoneità psicofisica all’attività sportiva agonistica e non.

La visita di idoneità sportiva
L’esperienza trentennale, a partire dalla legge che ha introdotto la visita di idoneità sportiva agonistica (decreto del ministero della Sanità, 18 febbraio 1982), ha consolidato nei medici dello sport la consapevolezza di aver portato avanti, pur tra mille difficoltà organizzative e ingerenze esterne, un lavoro che ha prodotto successi inconfutabili. Successi in ambito di salute e sicurezza dei tanti “atleti” che sono passati nei nostri reparti, studi e ambulatori. E quando parlo di sicurezza non intendo solo quella rivolta alla prevenzione della cosiddetta “sindrome da morte improvvisa”. Su questo fronte, infatti, le statistiche mostrano in maniera inequivocabile una progressiva diminuzione dei decessi dal 1982 a oggi, che collocano il nostro Paese ai livelli più bassi di incidenza nel mondo. Non solo: gli eventi fatali si verificano più spesso proprio tra i praticanti occasionali “della domenica” o tra coloro che la visita di idoneità sortiva non l’hanno mai eseguita. Oppure, ancora peggio, tra chi è stato riconosciuto non idoneo o in attesa di approfondimenti diagnostici, e poi ha cercato comunque un “certificatore compiacente” che lo autorizzasse.

Il vero compito della visita, di cui il certificato è solo la conclusione medico-legale, è infatti quello di valutare (con il supporto di accertamenti nei casi previsti dalle tabelle di legge, e/o in quelli lasciati al sospetto clinico), limitare in caso di controindicazioni e orientare verso l’attività sportiva più opportuna, tenendo sempre conto anche del suo valore psicosociale. Una buona visita di medicina dello sport, proprio come strumento di diagnosi precoce e stratificazione del rischio sport specifico, non dovrebbe mai giungere in commissione di riesame per le non idoneità: se circostanziata, completa di accertamenti e ben argomentata, solo raramente darebbe luogo a ricorso. Purtroppo la maggior parte dei ricorsi sono dovuti a incompleta documentazione o a diagnosi approssimative, dovuti all’assenza di una rete di centri di medicina dello sport pubblici di secondo livello con i quali confrontarsi. Una conseguenza diretta, questa, dei gravi ritardi organizzativi che gli stessi detrattori hanno contribuito a creare.

Il decreto Balduzzi
Anche in qualità di rappresentante dell’Associazione professionale di medici pubblici di medicina dello sport (Amespi), intendo quindi intervenire nel dibattito in merito ai recenti dubbi sollevati da più parti su efficacia ed efficienza della visita d’idoneità sportiva agonistica per sostenere l’inutilità del tanto biasimato “decreto Balduzzi”.

Innanzitutto l’intento del legislatore era di normalizzare la giungla certificativa che imperversava in Italia, dove chiunque poteva chiedere una certificazione a mo’ di liberatoria per svolgere in sicurezza (la loro) una qualsiasi attività motoria. Se non altro, il decreto introduceva l’obbligatorietà , questa volta sì per legge e non per consuetudine, su alcune attività ludico motorie. Scendendo più nel dettaglio, l’art. 2 comma 5 esonerava da questo obbligo tutte le attività a basso impegno cardiovascolare e quelle svolte in forma autonoma al di fuori di un contesto organizzato e autorizzato (federazioni sportive nazionali, discipline associate, enti di promozione sportiva, Coni). Non solo: erano esonerate anche le attività praticate in questi stessi contesti organizzati, nel caso in cui fossero svolte in maniera occasionale, a scopo ricreativo e per il benessere psicofisico (cioè non per il miglioramento di capacità fisiche e abilità tecniche peculiari dell’attività sportiva). Che cosa significa? Che l’enorme platea di chi fa moto e attività motoria - peraltro, il target principale delle campagne di contrasto alla sedentarietà - era già chiaramente esclusa dall’obbligo di certificazione.

Grande confusione
Come spesso avviene, l’intervento legislativo riparatore (art. 42 bis della Legge di conversione n. 98 del 9 agosto 2013) ha sortito un effetto peggiore dell’originale. L’eliminazione dell’obbligatorietà della certificato per l’attività ludico-motoria ha messo in difficoltà interpretativa e attuativa tutte le società affiliate alle federazioni, gli enti di promozione sportiva, il Coni e i loro associati. Comprese le famiglie e i bambini che fanno corsi di avviamento allo sport, i quali non hanno ancora le caratteristiche di “praticanti attività” (agonistica e non), ma frequentano comunque associazioni dove la loro attività motoria viene praticata sotto le direttive di un allenatore o istruttore in maniera organizzata, regolare e continuativa. E dove il responsabile ha anche obblighi di tipo assicurativo.

Con il risultato che oggi circoli e palestre, a scopo di tutela medico-legale (la loro), esigono certificati che la legge non prevede più. Impedendo al povero incolpevole utente di fare attività fisica, e stressando medici di medicina generale e pediatri a cui si continua a richiedere un atto non dovuto. Non solo. La presunta discrezionalità da parte del medico o del pediatra rispetto all’esecuzione dell’elettrocardiogramma (ecg), senza una modifica del certificativo (allegato C), obbliga il medico visitatore ad attestare di aver rilasciato un certificato senza aver eseguito un ecg: pratica che invece le linee guida internazionali e il documento della Conferenza Stato-Regioni e Province autonome del luglio scorso ritengono efficace per la diagnosi di importanti cardiomiopatie, tra le quali quelle responsabili di morte improvvisa. E anche qui, l’esito finale è che molti richiedono l’ecg solo come pratica di “medicina difensiva”.

Unica soluzione: la collaborazione tra professionisti
I recenti, contraddittori, interventi legislativi hanno dunque provocato un’estrema confusione normativa, interpretativa ed esecutiva da parte delle strutture di medicina dello sport. Strutture che al contrario potrebbero funzionare meglio se inserite in una rete pubblico-privata distribuita in maniera omogenea su tutto il territorio. E dove le unità operative di medicina dello sport pubbliche fossero il punto di riferimento (anche normativo) per tutti gli operatori del settore. In questo modo, anche il tanto contestato decreto Balduzzi avrebbe una collocazione organica per contribuire al miglioramento dello stato di salute dei cittadini, qualsiasi tipo di attività motoria scegliessero.

Ricordo infine che la diagnosi precoce di numerose malattie (non solo in ambito cardiologico), un avviamento alla disciplina più adeguata a chi si avvicina allo sport, la somministrazione quali-quantitativa dell’attività motoria e l’analisi dei risultati ottenuti sono il vero gold standard della visita di valutazione funzionale e di idoneità alla pratica ludico-motoria e sportiva. Una procedura in cui l’emissione del certificato è solo l’atto finale.
 

Francesco Di Matteo è responsabile dell’unità operativa di Medicina dello sport e promozione dell’attività fisica presso l’Asur Marche. È inoltre coordinatore regionale Amespi e referente regionale del progetto “Promozione dell’attività fisica”.

 

3 Commenti

decreto Balduzzi

Come presidente di ASD ho attivato da anni un Progetto Salute, chiedendo ai miei associati una certificazione maggiore con ECG, sostenendo come la visita medica per praticare una disciplina sportiva a qualsiasi livello ed a qualsiasi età non possa prescindere dal conoscere il reale stato del proprio corpo, in primis il cuore; spiegando anche come la differenza tra le attuali generazioni e le precedenti stia nella mancanza assoluta della medicna scolastica e della visita di leva (allora per i maschi). Risultato? Molti genitori acconsentono anche perchè il prezzo fatto dal proprio medico equivale sostanzialmente alla visita con ECG. La salute e la prevenzione prima di ogni cosa!

ECG si o no?

La medicalizzazione esasperata di ogni attività umana rasenta la persecuzione legalizzata.
Quello che si otterrà con l'articolo 4 comma 10 septes della legge 30 ottobre 2013 è una folle corsa all'ECG a tutti quanti, indistintamente, sanissimi soprattutto, con costi spaventosi per la società e per la sanità. Aggiungiamo che molto spesso i tracciati verranno interpretati male con ansie, preoccupazioni e richiesta di molti esami di secondo livello.
Faccio l'esempio di un caso visto in questi giorni per una bambina di 6 anni figlia di una amministrativa della mia ASL. Un caso esemplare di come si rasenta il panico di affogare in un bicchier d'acqua perche non si sa nuotare. Referto ECG fatto dal cardiologo: aritmia respiratoria, T negativa in V1, blocco focale di branca destra, FC 120 al minuto. La pediatra "terrorizzata" ha chiesto di urgenza un Ecocardiogramma. Quanti di questi casi avremo?
Poi aggiungo un'altra cosa. Cerchiamo noi medici dello sport di smetterla di chiedere la luna in un servizio sanitario che subisce tagli in continuazione. Va a finire, ci gioco la casa, che ci toglieranno anche quel poco che abbiamo ottenuto faticosissimamente in 40 anni. Si rischia di dare voce a coloro che vogliono portare le visite a due anni o che vogliono eliminare i LEA per i minori o che vogliono passare tutto al privato, che, fatta convenzione ad hoc, costerebbe molto meno.

decreto Balduzzi

Meno male che il decreto in oggetto e' stato nella sostanza abolito dopo pochi giorni di vita; gia' questi sono stati sufficienti a creare un pandemonio di cui ancora ne subiamo le conseguenze! E' vero che l'ECG si e' dimostrato utile nello svelare patologie importanti, responsabili prime della morte improvvisa dell'atleta e che il nostro paese e' da tutti riconosciuto all'avanguardia in questo campo e che la visita medico sportiva e' rimasta l'unico presidio preventivo dopo l'abolizione di quella scolastica e della visita di leva! Tuttavia, come dicevano i latini "est modus in rebus" e, come prosaicamente dicono gli allenatori, "squadra che vince non si cambia"; nel DM 18/2/82 e seguenti, che pure tante volte si e' cercato di modificare senza riuscirci, la definizione di idoneita' agonistica e non agonistica e' ormai ben chiara a tutti. Se qualcosa c'e' da cambiare e' la modalita' con cui si rilasciano i certificati ed i relativi controlli mentre l'esercizio fisico per chi e' diversamente abile deve essere una prescrizione medica del medico dello sport, unico competente in materia e non necessita di un certificato medico ma di un corretto inquadramento della patologia e del suo stato.

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