Una prova da sforzo per l’esercizio fisico

Il contributo dei farmaci e dell’attività fisica nella riduzione della mortalità: dal confronto, esercizio regolare e movimento non escono sconfitti, anzi. Da migliorare l’attenzione di medici e operatori sanitari.
01/11/2013
  • redazione
esercizio fisico

L’esercizio fisico fa bene. Un’affermazione che appartiene al buon senso comune, ma che alla comunità scientifica non può bastare: ci vogliono prove forti, raccolte in studi ineccepibili. Per ribadirlo, non si poteva mettere in piedi un esame più difficile di quello descritto da Huseyin Naci (London School of Economics e Harvard Medical School) e John Ioannidis (Stanford University School of Medicine) e descritto sulle pagine del British Medical Journal.

La valutazione è frutto della metanalisi di una revisione sistematica, anzi di una revisione di revisioni: per la letteratura medico-scientifica, quanto di più rigoroso e autorevole ci sia in termini di metodologia. Oggetto dell’indagine: il contributo alla riduzione della mortalità delle terapie farmacologiche e dell’esercizio fisico nella prevenzione secondaria della malattia coronarica, nella riabilitazione dopo un ictus, nel trattamento dello scompenso cardiaco e nella prevenzione del diabete. E alla fine, nel confronto con le terapie farmacologiche, l’attività fisica ha superato la prova. Vediamo dunque nel dettaglio il programma d’esame previsto e i voti in pagella conquistati.

I risultati ottenuti
I ricercatori hanno individuato 16 revisioni sistematiche, che hanno compreso 305 studi randomizzati e controllati e coinvolto quasi 340 mila persone. Nel caso della mortalità post ictus, il movimento ha fatto meglio dei farmaci specifici (anticoagulanti e antiaggreganti piastrinici). Si è dimostrato altrettanto efficace di farmaci come le statine, i betabloccanti, gli antipertensivi Ace-inibitori e gli antiaggreganti piastrinici nei ridurre i decessi per malattia coronarica. Un pari tra attività fisica e farmaci si è registrato anche nella prevenzione del diabete, ma va specificato che in questo caso entrambi gli interventi non sono risultati efficaci. Nel controllo della mortalità per scompenso cardiaco, infine, l’esercizio ha perso solo nel confronto con i diuretici, non con tutti gli altri farmaci solitamente utilizzati (betabloccanti, antipertensivi Ace-inibitori e antipertensivi antagonisti dei recettori dell’angiotensina II).

“Prescrivere” più attività fisica
Dal punto di vista pratico, attività fisica e farmaci vanno considerati non come alternative, ma come armi da integrare e - questo è il punto cruciale delle conclusioni - da “prescrivere” entrambi. Facile a dirsi, più difficile a farsi. La sensibilità degli operatori sanitari su questo sembra infatti ancora un po' scarsa. Nel nostro Paese, per esempio, i dati del sistema di sorveglianza Passi dicono chiaramente che è ancora bassa l’attenzione dei medici al problema della sedentarietà: tra il 2009 e il 2012, meno di un adulto su tre (31%) riferisce che un operatore sanitario si è interessato all’attività fisica svolta. Ed è dello stesso valore (31%) la percentuale di persone che dichiarano di aver ricevuto il consiglio di effettuare una regolare attività fisica. Un quadro con margini di miglioramento davvero notevoli.

 

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