Tutti i trucchi di Big Tobacco, tra lobbing e marketing ingannevole

Misure contro vendita, diffusione e pubblicità delle sigarette deprimono l’economia e riducono l’occupazione? E l’impatto sulla salute invece quanto pesa? Ecco quello che Big Tobacco (non) dice.
31/05/2013
  • Paolo D'Argenio
No Tobacco Day 2013

Immagine: 

La locandina della campagna Oms per la giornata mondiale contro il fumo 2013

Mentre per smettere di fumare e per ridurre tra i giovanissimi il rischio di cedere al fascino della prima sigaretta sappiamo che esistono tanti tipi di interventi di prevenzione efficaci, sul fronte delle misure regolatorie la strada sembra ancora piuttosto lunga. Il divieto di fumo nei luoghi pubblici chiusi, l’aumento dei prezzi generati da misure fiscali, il bando alle iniziative pubblicitarie: sono tutti esempi di interventi efficaci che possono avere un considerevole impatto per ridurre i consumi. Eppure le autorità pubbliche, cui spettano le decisioni in merito alle politiche legislative, sono continuamente oggetto di pressioni da parte di gruppi di interesse che rendono questa strada un percorso tortuoso e pieno di ostacoli.

Le azioni di lobbing
I produttori di tabacco si sforzano di influire sui governi, sui legislatori e su tutti coloro che possono condizionarli. L’industria del tabacco, nel mondo e in Italia, svolge un’intensa attività di pubbliche relazioni per costruire alleanze con gli attori economici con cui condivide interessi. Al fine di acquisire argomenti a proprio favore ed esercitare pressioni sulle autorità pubbliche, usa l’intermediazione di istituti di consulenza e centri di ricerca, fondazioni e altri soggetti vicini al mondo politico e istituzionale.

In questa azione, Big Tobacco si presenta come un normale operatore economico e, attraverso un uso raffinato delle pubbliche relazioni e della comunicazione, inquadra il tema nella cornice dei diritti: libero mercato e libertà personale, spostando fuori dalla cornice i danni per la salute e mettendo in ombra la drammatica realtà dei 6 milioni di morti provocati ogni anno dal fumo in tutto il mondo. Solo in Italia le vittime sono circa 80 mila, 700 mila in Europa: è come se ogni anno sparisse una città come Palermo. Al contrario, facendo appello ai valori del libero mercato e della libertà personale, i promotori della salute vengono screditati come fautori di misure paternalistiche e recessive, che impoverirebbero il Paese. Invece, sostengono i produttori: grazie al consumo del tabacco migliora l’occupazione, lo Stato incassa miliardi di tasse e, addirittura, il sistema pensionistico diventa paradossalmente più sostenibile, in virtù della morte prematura di molti fumatori.

Ma allora come possono i responsabili della sanità pubblica contrapporre all’azione lobbistica dell’industria, argomenti basati sulla razionalità economica e sull’etica? Anche in Italia l’industria del tabacco si sforza di ostacolare l’applicazione di misure volte a ridurre il fumo di tabacco, ed è utile analizzare il suo metodo di lavoro e le argomentazioni utilizzate per preservare il mercato dei prodotti del tabacco. Argomentazioni che, al pari di quelle utilizzate dai promotori della salute,chiamano in causa alcuni dei valori su cui si fonda il nostro vivere comune.

Le pressioni sui decisori
I produttori finanziano importanti istituti di consulenza perché effettuino studi su diversi aspetti che riguardano il tabacco come settore economico.  Ad esempio, l’Istituto Nomisma pubblica sistematicamente il rapporto sulla filiera del tabacco in Italia. Ma si tratta di un rapporto finanziato dalle principali aziende produttrici,  dalle associazioni dei distributori e dei trasformatori e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Non solo. Finanziati entrambi dall’industria del tabacco, il Censis ha condotto uno studio sull’atteggiamento degli italiani nei confronti della regolamentazione sul fumo, mentre il Casmef dell’Università Luiss Guido Carli, per conto della Fondazione Bruno Visentini, ha condotto uno studio sull’elasticità della domanda e le conseguenze derivanti da inasprimenti fiscali. E ancora: The European House Ambrosetti ha esaminato gli impatti delle proposte di revisione della normativa europea e un think tank come l’Istituto Bruno Leoni, portatore di una visione radicale della libertà di mercato, si adopera contro la regolamentazione del settore, finalizzata alla tutela della salute.

Quali sono i risultati delle analisi messe a punto da questi centri di consulenza, a quali tesi ed argomentazioni conducono? Le indagini identificano la “filiera del tabacco” come settore economico in cui convergono  gli interessi di molteplici soggetti che dovrebbero cooperare per difendere i loro affari da minacce esterne. Le minacce sono individuate nelle legislazioni che restringono la disponibilità e l’accesso ai prodotti da fumo, come l’aumento dei prezzi, il divieto di vendita a distanza, il divieto di esposizione nel punto vendita, le limitazioni del marketing, la regolamentazione degli ingredienti, le norme relative all’etichettatura. Queste limitazioni, oltre a essere inefficaci e danneggiare l’intera filiera, provocherebbero danni all’economia nazionale a causa dell’aumento del commercio illegale e dell’inflazione, e per la riduzione di occupazione e gettito fiscale. 

Economia (e salute) in fumo
E per quanto riguarda i danni per la salute? Facendo ben attenzione a tenere nell’ombra gli impressionanti numeri relativi all’impatto del fumo sulla salute in termini di mortalità, morbosità, perdita di produttività e anni di vita in buona salute, gli analisti di mercato puntano tutto sul lato economico e sostengono che in Italia le entrate fiscali, pari oggi a circa 14 miliardi di euro l’anno, coprono i costi derivanti dall’uso del prodotto, cioè quelli a carico del servizio sanitario. E arrivano a dichiarare che la stessa morte prematura dei consumatori provocherebbe ulteriori risparmi al settore sanitario e a quello pensionistico… insomma, visto che i fumatori muoiono prima, lo Stato - oltre ai proventi dovuti alle entrate fiscali - spenderebbe meno per le pensioni. E così alcuni dei costi sociali del fumo (la morte prematura) diventerebbero addirittura un beneficio.

Questa tesi deriva da uno studio effettuato nel 2001 nella Repubblica Ceca dalla Arthur D. Little International Inc., per conto dalla Philip Morris. Secondo questo studio, a fronte di costi per lo Stato pari a 403 milioni di dollari all’anno, il fumo consentiva di incamerare 522 milioni di dollari all’anno di tasse e di risparmiare 31 milioni di dollari all’anno di pensioni e altri servizi non erogati a fumatori  deceduti prematuramente. Il fumo sarebbe perciò stato un beneficio per la Repubblica Ceca, contribuendo alla sua stabilità finanziaria. Una conclusione cinica, ma apparentemente sensata. Peccato che questa analisi fosse piena di numerosissimi errori metodologici e di omissioni nel computo dei costi per cui, dopo un primo tentativo di minimizzare la questione, la Philip Morris dovette scusarsi pubblicamente. È di interesse l’esame delle incongruenze dell’analisi economica, che non distingueva tra costi interni (a carico del fumatore) e costi esterni (per la società) e ometteva di includere molte voci di costo.

Csr e uso dei media: business, a tutti i costi
Un altro campo di iniziativa dell’industria è quello della responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsability - Csr) le cui finalità dichiarate, oltre a fornire garanzie sulla qualità del prodotto e dei processi di produzione, includono a volte un impegno a favore della salute pubblica. L’industria ammette in parte gli effetti nocivi del fumo, anche se sottolinea come non tutti i meccanismi biologici siano stati svelati. E non riconosce la capacità della nicotina di creare dipendenza, arrivando a sostenere che i fumatori che intendono smettere possono farlo quando vogliono. Esistono forse solo due aree in cui gli obiettivi dichiarati dall’industria sembrano combaciare con quelli della sanità pubblica: il contrasto alla contraffazione e la prevenzione del fumo tra i minori.

Nel 2004, negli Usa, a seguito di un accordo legale tra alcuni Stati e le principali industrie del tabacco, furono rese pubbliche oltre 40 milioni di pagine di documenti dell’industria del tabacco. Analizzandoli, fu possibile appurare come, per contrastare le misure legislative a difesa della salute pubblica, l’industria avesse creato e finanziato segretamente nel 1994 una coalizione solo apparentemente indipendente. Coalizione che, screditando i risultati della ricerca scientifica e senza esporre direttamente l’industria del tabacco, fu capace di orientare l’opinione pubblica e ostacolare la legislazione, manipolando i media e travisando le prove scientifiche.

Lo scopo delle interferenze dell’industria del tabacco è infatti quello di garantire il business a tutti i costi, combattendo ogni tentativo di ridurre la capacità di produzione e vendita ed esaltando il diritto dei consumatori di avere a disposizione un mercato libero che consenta loro di scegliere i prodotti che vogliono consumare. E lo fa bloccando, ritardando, modificando le leggi che pongono restrizioni, sfruttando le lacune legislative, richiedendo un posto al tavolo dei negoziati, promuovendo la regolazione volontaria invece della legislazione, finanziando iniziative del governo in altre aree della salute ricercandone il favore, fino ad arrivare, come è stato dimostrato in alcuni Paesi, a intimidire i governanti e corrompere i legislatori.

La giornata mondiale contro il fumo
È per tutto questo, quindi, che l’Oms ha dedicato le ultime due edizioni dei No Tobacco Days a smascherare le interferenze dei produttori e le forme di pubblicità palesi e occulte. Quest’anno la giornata mondiale vuole essere una chiamata all’azione rivolta ai governi degli Stati membri per potenziare la sorveglianza sul sempre più potente e sofisticato marketing messo in atto da Big Tobacco per promuovere la vendita e la diffusione dei propri prodotti, anche in Paesi come l’Italia in cui ciò dovrebbe essere vietato. Lo scorso anno invece l’Oms, cavalcando la visibilità di questa giornata di sensibilizzazione mondiale, aveva inteso sottolineare i tentativi che l’industria del tabacco compie ogni giorno per interferire nell’applicazione della Convenzione quadro sul controllo del tabacco, il primo trattato internazionale al mondo per la tutela della salute pubblica. Gli Stati che lo ratificano, infatti, riconoscono i danni provocati dai prodotti del tabacco e dalle aziende che li fabbricano, individuando le azioni più opportune da intraprendere per contrastarne la diffusione e i metodi per l’attuazione.

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