Cambiare abitudini con la Rete: una sfida possibile?

Il monitoraggio e l’analisi dei big data: come catturare on line “segnali” e informazioni sulla salute.
17/09/2014
  • Milly Barba
big data e salute

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foto credit: www.lanereport.com

Le persone colpite da una malattia cronica sarebbero più costanti nell’utilizzo di dispositivi medicali elettronici, modificando così in modo sostanziale e duraturo il proprio stile di vita. È quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori della Oxford University e pubblicato il mese scorso su Jama. L’esperimento, effettuato su un gruppo di oltre 500 pazienti ipertesi, prova che - se eseguiti in modo autonomo dai soggetti interessati - il monitoraggio della pressione sanguigna e l’autoregolazione della somministrazione dei farmaci (secondo un piano prestabilito dal medico) sono più efficaci per abbassare i valori pressori. Tuttavia i risultati ottenuti si devono anche all’impiego del semplice dispositivo elettronico usato dai malati per controllare la pressione a casa propria, senza l’aiuto del medico.

Questi strumenti, se utilizzati in modo continuativo, possono contribuire a colmare delle lacune, fornendo al medico dati che prima era difficile ottenere. Ma, affinché le informazioni raccolte siano davvero attendibili, occorrerà utilizzarle con costanza. «Bisogna fare una distinzione tra chi usa un’app per fare fitness e i pazienti cronici, che si avvalgono delle nuove tecnologie per monitorare la propria malattia. Tra coloro che per fare sport usano questi dispositivi, infatti, il tasso di abbandono è molto elevato. L’utente è affascinato dalla novità ma dopo sei mesi, già stanco, lascia il prodotto. Per i pazienti cronici come quelli coinvolti nello studio pubblicato su Jama, invece, la situazione è diversa: sono più motivati», spiega Alberto Eugenio Tozzi, responsabile dell’area di ricerca Malattie multifattoriali e fenotipi complessi e dell’unità di Telemedicina dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.

Quando la motivazione è tutto
L’avvento delle applicazioni per smartphone e di dispositivi elettronici a basso costo come il cardiofrequenzimetro, hanno prodotto un duplice effetto. La disponibilità delle nuove tecnologie, a fronte dei sensori di una volta (apparecchi dai prezzi molto più elevati) ne ha permesso, in primis, la diffusione e ne ha accresciuto la popolarità, favorendone l’uso tra le persone. «Si tratta di una svolta significativa perché, al di là della rilevazione istantanea di un dato, ora si può risalire più facilmente all’andamento dei valori di una persona in un certo lasso di tempo», continua Tozzi.

Se app e dispositivi elettronici possono favorire dei cambiamenti significativi nello stile di vita delle persone, cosa si può fare, dunque, per promuoverne l’utilizzo? Un primo passo potrebbe consistere nel seguire il modello proposto dallo psicologo statunitense B. J. Fogg, esperto di tecnologie persuasive, progettate per influenzare attitudini e comportamenti. Il modello è incentrato su obiettivi quali la motivazione e la facilità d’utilizzo. «Se per esempio gli sviluppatori di app tenessero conto anche di queste variabili, semplificando l’accesso ai dispositivi, potremmo ottenere molto. Per ciò che riguarda la motivazione, comunque, occorre agire con un approccio multidisciplinare ricordando che per ottenere cambiamenti nello stile di vita della popolazione si deve coinvolgere l’intera comunità», sottolinea Tozzi.

I “big data” come fonte
Ad aiutare i ricercatori e i medici nel delineare un profiling dell’individuo, tuttavia, non ci pensano solo i dispositivi elettronici, che ormai rappresentano importanti collettori di dati. Per tracciare l’identikit di una persona, rivelare le abitudini e il nostro stile di vita, infatti, ci pensa il web. Ogni azione effettuata on line lascia una traccia e, dalla somma delle nostre impronte, si può risalire in modo semplice a ciò che siamo, ai nostri gusti in fatto di cibo o di vestiti e, appunto, persino alla nostra salute. Basti pensare ai social network: solo su Twitter, uno degli “aggregatori sociali” più diffusi, si contano circa 500 milioni di messaggi inviati ogni giorno dagli utenti di tutto il mondo. E gli impieghi delle notizie fornite dal social network sono tra i più vari.

Analizzando gli spunti emozionali presenti nei tweet delle donne in gravidanza, per esempio, i ricercatori della Microsoft hanno sviluppato un algoritmo che predice quali, tra i messaggi di 140 caratteri, potrebbero essere indicativi di depressione post partum. «Eppure il web è ancora una risorsa in gran parte inesplorata: le agenzie di sanità pubblica iniziano timidamente solo ora ad approcciarsi a questi strumenti», ribadisce Tozzi raccontando di come, proprio tramite Twitter, abbia analizzato in prima persona l’andamento della rinite allergica e dell’influenza nella popolazione generale. Anche da Facebook si possono dedurre particolari interessanti: il numero di condivisioni di un contenuto e la sua tipologia sono indicativi dello stile di vita di una persona. «Oggi il monitoraggio delle informazioni su web è uno strumento fondamentale di analisi: i cosiddetti “big data” - quella mole sterminata di informazioni che circolano in Rete - stanno già modificando l’approccio medico. E in futuro saranno sempre più utili per fornire un quadro più chiaro su abitudini e comportamenti della popolazione», conclude Tozzi.

 

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