Sostenere e coordinare: le istituzioni e il (difficile) dialogo con il territorio

Si fa presto a dire promuoviamo l’attività fisica. Perché problemi e difficoltà sono dietro l’angolo. Soprattutto in una prospettiva globale, dove la salute può fare solo una parte del percorso: se manca la collaborazione di altri settori e delle istituzioni di governo è difficile modificare i comportamenti e favorire scelte salutari. Eppure cambiare si può: Azioni quotidiane parte da un’analisi delle criticità, per raccontare casi ed esempi virtuosi in cui le amministrazioni locali sono riuscite a superare gli ostacoli.
20/11/2013
  • Stefano Menna
promozione dell'attività fisica

Senza un supporto e un indirizzo da parte degli organi di governo nazionali, molti degli sforzi e dei progetti di promozione della salute avviati sul territorio rischiano di vanificarsi o avere un impatto relativo. È almeno dal 1986, anno di ratifica della Carta di Ottawa (storico documento per incentivare e sostenere il benessere psicofisico globale delle persone), che l’orizzonte culturale della sanità pubblica è profondamente mutato. «La salute è una risorsa di vita quotidiana che insiste sui mezzi sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche». Un principio che vale anche per le iniziative di promozione dell’attività fisica, che non possono essere di competenza esclusiva né dell’individuo né del settore sanitario, ma hanno bisogno di azioni sinergiche e intersettoriali.

Gli ostacoli alle scelte di salute
In una visione e in una prospettiva così ampia e “allargata”, è normale che aumenti il rischio di incontrare problemi. Tanto più nella lotta alla sedentarietà, dove i fattori in gioco sono molteplici: per esempio, quelli di natura psicologica come la motivazione, le emozioni e le credenze personali (spesso condizionati dal contesto culturale e dal livello di istruzione). Oppure quelli di natura sociale e ambientale, come l’influenza esercitata dai familiari, dagli amici, dal proprio medico, l’organizzazione della vita moderna con i suoi ritmi sempre più accelerati, l’esistenza e l’accessibilità di spazi naturali o strutturati per svolgere attività fisica, la presenza e la fruibilità di infrastrutture che facilitino il trasporto attivo (come camminare e andare in bici per gli spostamenti quotidiani, o utilizzare i mezzi pubblici).

Pur condividendo la necessità di condurre una vita più attiva e magari avendo superato eventuali resistenze psicologiche, può essere comunque difficile tradurre le proprie convinzioni in comportamenti, vivendo e lavorando in contesti che rendono complicata la scelta di salute. Per fare solo due esempi: in assenza di programmi di bike sharing e laddove non è permesso - possibile, facile o economico - trasportare la propria bici sugli autobus, sulle corriere e sui treni, sarà arduo aderire alla raccomandazione della multimodalità nei trasporti; e ancora: finché chi va in bici al lavoro rischia di non vedersi riconosciuto l’infortunio in itinere, sarà probabile che molti lavoratori continuino a prendere la macchina.

Il ruolo del Piano nazionale della prevenzione
Cosa fare, quindi? Il ministero della Salute e altri enti e istituzioni nazionali potrebbero giocare un ruolo decisivo, intervenendo per rimuovere gli ostacoli con azioni strategiche di indirizzo. Un’occasione formidabile la rappresenta il Piano nazionale della prevenzione, la nuova edizione del quale è al momento in discussione. A differenza del passato, per ogni tema affrontato potrebbe essere prevista un’articolazione e una declinazione differente degli obiettivi, a seconda dei livelli: alcune strategie sono infatti proponibili e realizzabili solo attraverso un’azione di governo. Per esempio: un accordo con l’Inail per il riconoscimento dell’infortunio in itinere e con il ministero dei Trasporti per la revisione del Codice della strada; oppure un’etichettatura degli alimenti più chiara rispetto agli aspetti nutrizionali. Altre invece possono essere delegate e attuate a livello regionale e locale, come l’organizzazione di gruppi di cammino da parte di una Asl o l’istituzione di zone urbane pedonali e a traffico limitato da parte dell’amministrazione di un comune.

Insomma: senza la messa a punto di obiettivi di governo specifici, c’è il rischio che il carattere nazionale del piano si riduca alla standardizzazione e alla sommatoria delle attività messe in pratica dalle singole realtà, seguendo più una logica inter-regionale che appunto nazionale. E anche che l’azione centrale, invece di seguire una propria agenda ben strutturata, sia messa in subordine e considerata per lo più come un semplice supporto alle attività delle Regioni.

La salute in tutte le politiche
Il livello centrale dovrebbe dare sempre il buon esempio, sposando e realizzando concretamente l’approccio della “salute in tutte le politiche”. Per essere efficace, la sanità deve coinvolgere tutte le altre politiche (scuola, trasporti, ambiente, turismo, sport, attività produttive ecc), allestendo tavoli inter-ministeriali trasversali. Proprio così era nata nel 2005 “Cycling England”: un’agenzia governativa inglese sulla ciclabilità finanziata con 10 milioni di sterline all’anno dove ogni dicastero partecipava con una quota, rappresentando le proprie competenze e interessi. Una realtà purtroppo già scomparsa, vittima dei tagli della spending review del governo Cameron. La stessa piattaforma di Guadagnare Salute, sorta in ambito comunitario, si è sviluppata con analogo spirito partecipativo e intersettoriale. Anche se ad oggi, almeno nel nostro Paese, le collaborazioni più interessanti e durature sono soprattutto quelle siglate con il mondo della scuola.

Soldi, soldi, soldi
C’è poi l’annoso problema dei finanziamenti. Per rimanere sulla ciclabilità, il governo britannico ha recentemente stanziato risorse piuttosto cospicue su un piano pluriennale di sviluppo dei trasporti su due ruote. Piano che ha sì generato dibattito e qualche polemica, ma che rappresenta un segnale e una scelta di indirizzo politico significativi. Così come un buon esempio di programmazione viene dalla Germania, che pochi mesi fa ha varato il “Nationaler Radverkehrsplan”. Si tratta di un piano nazionale della ciclabilità con obiettivi da qui al 2020 fortemente voluto dal ministero dei Trasporti, che tiene ben presenti le ricadute e i vantaggi (anche in termini di costi sanitari risparmiati) per la salute. Le iniziative sono lasciate a comuni e territorio, ma l’investimento economico fa capo a un fondo federale per l’incremento dell’uso della bici e dell’intermodalità con i mezzi pubblici. Il piano prevede tre livelli diversi - principiante, medio, all’avanguardia - con obiettivi differenti e proporzionati alle possibilità delle singole realtà locali. Per un’implementazione sostenibile delle risorse, inoltre, per ogni municipalità è stata stimata la spesa annuale pro capite.

Evidence e raccomandazioni
Infine, tra i compiti del livello centrale c’è anche quello di produrre evidence. Indicazioni utili a valutare l’andamento degli stili di vita e della salute della popolazione, oltre a stimare l’impatto degli interventi e delle misure adottate. Anche sul piano economico. Per esempio, tuttora mancano dati che sarebbero molto preziosi ai fini della pianificazione nell’ambito del trasporto attivo o sugli effetti dell’incremento dell’attività fisica.

Un buon modello di pianificazione viene dalle linee guida di “Impala”, un progetto dell’Unione europea per potenziare uso e accessibilità delle strutture sportive dislocate sul territorio per fare movimento nel tempo libero. L’idea di fondo è che gli impianti possano essere aperti alla popolazione generale, non solo agli atleti, per fare liberamente moto e attività fisica. Sia quando non si svolgono competizioni, sia riservando spazi e momenti dedicati al movimento di chi assiste o accompagna gli atleti (per esempio, organizzando gruppi di cammino per i nonni che portano i nipoti in piscina o al circolo del tennis). Il documento riporta indicazioni utili su management, policy, fonti di finanziamento, valutazione del processo, best practices. Uno strumento simile potrebbe aiutare il territorio a implementare le raccomandazioni delle autorità istituzionali: l’obiettivo è superare quello scollamento tra il livello centrale e le iniziative locali che ancora troppo spesso costituisce un ostacolo concreto alla promozione dell’attività fisica.

 

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