Vita attiva? È (anche) una questione di clima

Il freddo invernale rallenta e impigrisce, a scapito della salute. Capita a tutte le età, più spesso tra le donne.
21/01/2015
  • Maria Rosa Valetto
freddo e attività fisica

Nel 1920 il naturalista Hartley Jackson, dopo aver esplorato la fauna delle 23 isole Apostle che costeggiano il Wisconsin e l’antistante terraferma, concludeva sulla rivista dell’American Society of Mammalogist che il comportamento dei mammiferi aveva determinato la loro distribuzione sul territorio: «i mammiferi che abitano le isole sono tutti più o meno attivi durante l’inverno, mentre quelli che abitano sulla terraferma e di cui non è descritta la presenza sulle isole tendono a essere inattivi durante l’inverno».

Pigrizie di vecchia data
Si sa che il letargo è mediato da meccanismi dipendenti dalla quantità di luce e dalla disponibilità di cibo. Fin dalle civiltà primitive, però, la necessità di sopravvivere cacciando o coltivando ha obbligato l’uomo a forzare i comportamenti istintivi e a esporsi a temperature rigide. Anche se oggi questi ritmi innati sono praticamente scomparsi, qualche ricordo ancestrale probabilmente ancora sopravvive. A partire dal gradimento della vita all’aria aperta in funzione della temperatura e delle precipitazioni. Con situazioni paradossali: al contrario di mamma orsa e dei suoi cuccioli che in letargo bruciano le riserve di grasso, l’uomo e la donna contemporanei accumulano ciccia e pigrizia proprio in inverno. Eccessi che non riescono poi a smaltire nella bella stagione successiva, con un effetto di cumulo nel tempo.

Genti del Nord
Nel 2004 un’indagine realizzata in Canada su oltre 20 mila cittadini adulti ha stabilito che, in inverno, il 64% dei canadesi fa vita sedentaria. Una percentuale che invece scende al 49% in estate. Non solo: con il caldo, la spesa energetica quotidiana risulta maggiore del 30% e le sessioni di esercizio fisico di oltre 15 minuti più frequenti del 50%. Il motivo di questa differenza starebbe soprattutto nella disponibilità di tempo libero: la probabilità che venga dedicato a sport e attività fisica è quasi doppia quando la temperatura sale.

Da un'altra indagine realizzata in 16 parchi del Nord Dakota (Stati Uniti), invece, giunge conferma che - escludendo le situazioni prettamente stagionali (come i parchi acquatici d’estate o le piste ghiacciate d’inverno) - l’assiduità dei visitatori ha un fisiologico calo durante la stagione fredda. Attenzione però, perché al calo del numero assoluto degli ospiti non corrisponde un calo dell’attività relativa svolta: l’intensità dell’esercizio fisico eseguito passa infatti dai 2,7-2,9 Met dell’estate agli oltre 3 dell’inverno, che corrispondono a un’attività moderata-intensa considerata protettiva per la salute.

Donne e bambini, più “seduti” degli altri
È inutile arrivare alla prova costume in affanno se i mesi freddi sono stati consacrati all’ozio. Detto così è un po’ estremo, ma sembra proprio che le donne, fin da bambine, con la brutta stagione cedano ancor più facilmente alla pigrizia. A Nashville, città che gelida non è, un gruppo di donne tra i 20 e i 54 anni ha partecipato a uno studio sui livelli di movimento e sulla spesa energetica in funzione delle stagioni. Le migliaia di passi percorsi nella settimana di rilevazione risultano minori in inverno che nelle altri stagioni dell’anno. Un calo che si registra sia nell’attività lieve, sia in quella moderata.

I ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno analizzato l’impatto delle caratteristiche degli spazi aperti e delle condizioni climatiche sul modo di trascorrere l’intervallo in 4 scuole svedesi. Si tratta di realtà molto diverse, selezionate in modo da essere rappresentative dei contesti scolastici dell’Europa settentrionale e centrale. Il tempo impegnato in attività fisica all’aria aperta, in media 39 minuti, dipende dalla temperatura e dalle condizioni meteorologiche, si riduce con il crescere dell’età ed è sempre inferiore nelle bambine.

Casi clinici
Con la cattiva stagione, sembra comunque peggiorare un po’ tutta la nostra salute. Già Ippocrate aveva stabilito che si muore di più nei mesi freddi che in quelli caldi. E ora, quasi 2.500 anni dopo, una ricerca internazionale condotta in 19 Paesi di differenti latitudini ha analizzato mese per mese oltre 54 milioni di decessi. D’inverno risulta più alta la mortalità per tutte le cause, per cause cardiovascolari, per cause diverse da quelle cardiovascolari e oncologiche; solo la mortalità per cause oncologiche rimane costante nell’anno. Secondo un altro studio, poi, d’inverno aumenta la pressione, il colesterolo, il peso corporeo e il giro vita. Il tutto per l’effetto combinato di una riduzione dell’attività fisica e di un aumento della quantità di cibo che viene assunto.

Ma anche chi dovrebbe intendere lo sport come una medicina come i diabetici, nei mesi invernali tende a perdere colpi. Sempre in Canada è stato preso in considerazione il comportamento di persone con diabete di tipo 2 in funzione delle stagioni. Si osserva una relazione inversamente proporzionale tra numero di passi contati dal pedometro (sedentarietà in autunno-inverno, movimento moderato in primavera-estate) e aumento della pressione sistolica (circa 4 mmHg).

Per quanto riguarda la popolazione in sovrappeso e obesa, uno studio osservazionale statunitense condotto dal’Università del Massachusetts ha seguito oltre 500 adulti per quattro trimestri consecutivi, misurando peso corporeo, abitudini dietetiche e livelli di attività fisica in due giorni lavorativi e in uno del fine settimana. L’introito calorico cresce di 86 Kcal (una pietanza in più al giorno) nei mesi più rigidi. E parallelamente nella dieta i carboidrati cedono il passo ai grassi totali e saturi. Il peso corporeo raggiunge il picco in inverno (in media, un paio di chili in più) e i livelli di attività motoria risultano minimi in inverno e massimi in estate.

E dunque, che fare?
Tutti questi dati costituiscono una base di evidenze scientifiche solide per programmare attività di promozione della salute in grado di aggirare gli ostacoli o, quanto meno, di ridurre questa inerzia “stagione-dipendente”. Le sessioni di attività fisica potrebbero essere più brevi se svolte all’aperto; o, in presenza di strutture adeguate, condotte al coperto. Per quanto riguarda parchi e giardini nelle zone con clima rigido, per incentivare i più pigri o freddolosi, c’è chi suggerisce una loro riprogettazione: servono nuove strutture al coperto in grado di ospitare anche attività più tipicamente estive o primaverili come yoga, danza, palestre di roccia, tennistavolo e campi di pallavolo. Oppure impianti particolarmente attrattivi: piste da sci e pattinaggio, discese per slittino, percorsi per sci da fondo. Fino addirittura a chi propone di modificare l’ambiente “naturale” con giochi di luce e appositi locali riscaldati.

Dal punto di vista dei trattamenti medici, infine, ci si chiede se sia opportuno anticipare la pigrizia invernale aggiustando “al rialzo” le dosi di farmaci per il controllo della glicemia o della pressione. Ma forse è meglio controllare e modificare il proprio stile di vita, piuttosto che delegare a una pillola ciò che la volontà non ottiene.

 

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